Perché sbattiamo le palpebre? Questa domanda ha incuriosito milioni di persone e in tanti, erroneamente, hanno pensato che la risposta fosse quella di proteggere o inumidire gli occhi.
Di certo sbattere le palpebre aiuta molto in entrambi questi casi, ma non è questa la principale funzione di questo atto spontaneo. Uno studio ha voluto prendere in esame proprio il motivo che spinge le nostre palpebre a sbattere e grazie a questa indagine è stato possibile scoprire diverse funzioni di questa parte del nostro corpo.
Sbattere le palpebre è un atto naturale e avviene in modo spontaneo. Questo significa che accade a prescindere dalla nostra volontà, esattamente come respirare. Solitamente siamo del tutto inconsapevoli del fatto che le nostre palpebre si chiudano e non ci rendiamo neppure conto di quante volte lo facciano durante il corso della giornata.
I ricercatori dell’Università di Rochester hanno scoperto che il battito delle membrane oculari gioca un ruolo molto importante nella nostra vita. Oltre a mantenere lubrificati gli occhi, le palpebre permettono al cervello di elaborare ciò che gli occhi stanno osservando.
Praticamente il battito delle palpebre riformatta le informazioni visive percepite dall’occhio. Questo significa che sbattere le palpebre migliora di molto la visione globale dei nostri occhi.
Con il movimento delle palpebre si modificano i modelli di luce che percepiamo e questo atto è sufficiente a stimolare la retina ad inviare un segnale al cervello, permettendo quindi di concentrarsi meglio su ciò che si osserva.
Prima di questo studio si riteneva che l’ammiccamento, ovvero la chiusura rapida delle palpebre, compromettesse l’elaborazione visiva, mentre adesso sappiamo con certezza che la migliora.
Pertanto, se avete delle difficoltà a focalizzare correttamente un’immagine, non esitate a sbattere le palpebre e ricordate che tenendo invece gli occhi totalmente aperti, riducendo quindi l’ammiccamento, otterrete senza dubbio l’effetto contrario, rendendo più difficoltosa la vostra comprensione visiva.
